L'ANALISI
21 Maggio 2024 - 05:20
Oggi sta emergendo una nuova condizione umana, attraverso un inedito e simultaneo aumento di potenza tecnologica e di interdipendenza planetaria. Nel mondo globale tutto è interdipendente con tutto. In una circolarità continua, in cui tutto è sia causa che effetto. (…) Avvertiamo sempre più l’interferenza tra le dimensioni tecnica, scientifica, demografica, economica, ecologica, sociale, psicologica, religiosa... Avvertiamo le conseguenze delle accresciute interdipendenze a livello mondiale.
E siamo sfidati a comprendere che i problemi non possono essere analizzati come se si manifestassero isolatamente e come se reclamassero soluzioni semplici, standardizzate e univoche. È ciò che stiamo vivendo attraverso le crisi globali (la pandemia, il riscaldamento globale, la guerra…), che ci rivelano la complessità del nostro mondo, in cui ogni evento locale può comportare conseguenze che si amplificano su scala globale, e in cui perciò tutto può cambiare in modi improvvisi, imprevedibili. Un virus microscopico ha reso macroscopica la complessità, l’interdipendenza del mondo globale, l’incertezza, l’intrico dei problemi (…). È un’esperienza che tutti stiamo facendo nella vita ordinaria e quotidiana. La rilevanza delle tecnologie aveva diffuso l’illusione che ci saremmo sempre più affrancati dalla natura. Non è stato così.
Le società, certo, sono sempre più indipendenti dagli ecosistemi locali. Ma la sopravvivenza stessa dell’intera umanità rimane strettamente interdipendente all’interno di un unico immenso ecosistema globale (…). Siamo entrati in una nuova era della storia della Terra, dai geologi definita Antropocene: la Terra è diventata un unico sistema dinamico complesso, autoregolato, con componenti fisiche, chimiche, biologiche e anche umane: perché l’umanità è diventata una grande forza della natura.
A causa di questo groviglio di inestricabile complessità, è finita per sempre la possibilità di distinguere tra storia umana e storia naturale. E si riduce bruscamente la differenza di magnitudine tra la scala della storia umana e la scala temporale geochimica e geofisica, al punto da potersi invertire: il nostro ambiente potrebbe oggi cambiare più rapidamente della nostra cultura, peraltro proprio per l’impatto della nostra stessa cultura. Le catastrofi ricorrenti e improvvise legate al riscaldamento globale lo stanno manifestando. Scopriamo così i fili fragili e inestricabili che, come esseri viventi, ci legano alla biosfera. Il progetto di controllo sul mondo ha incrementato l’incontrollabilità del mondo.
Si tratta di una profonda discontinuità nella storia umana (…). Abitare la complessità richiede la capacità di indossare occhiali diversi. Ed è sul terreno cruciale dell’educazione che si giocherà la partita per realizzare il cambiamento di paradigma che il nuovo tempo esige (…). Dobbiamo innanzitutto prendere consapevolezza di una profonda crisi cognitiva. Questa crisi concerne la difficoltà di pensare la complessità del nostro mondo e del nostro tempo, in cui tutto è connesso.
Infatti, viviamo un paradosso. Lo rivelano drammaticamente le crisi globali che stiamo vivendo. Più aumenta la complessità del nostro mondo, più aumenta la tentazione della semplificazione. Più la complessità si impone come sfida ineludibile alla nostra esperienza e alla nostra conoscenza, più essa tende a essere negata e rimossa (…). L’ostacolo alla formulazione stessa dei problemi complessi del nostro tempo si annida proprio nel modo in cui la conoscenza è prodotta, organizzata e trasmessa.
Continuano a essere separate conoscenze che dovrebbero essere interconnesse, perché interconnessi e non separabili sono i molteplici aspetti dei problemi da formulare e da affrontare (…). Tracciare confini, fissare la propria identità nell’opposizione all’alterità, così come cercare una soluzione univoca, semplice, astratta, quantificabile, sono atteggiamenti che hanno intessuto un abito mentale talmente radicato da far apparire persino implausibile un altro modo di pensare, come quello complesso.
Perciò, una nuova Paideia deve volgersi a rigenerare il pensiero, laddove il progresso delle conoscenze nei binari della parcellizzazione suscita una regressione del pensiero stesso, che rischia di fossilizzarsi nell’esercizio automatico delle mansioni o delle tecniche di gestione. Ed ecco perché è ancora più preoccupante che da questa regressione e semplificazione del pensiero oggi possano essere investite proprio la scuola. La complessità della condizione umana globale ci sfida a generare una Paideia che contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa. Una Paideia coerente con la visione della relazione cosmo-antropologica in cui l’uomo non è separabile dalla natura, ma riconosciuto come parte integrante di un processo complesso di co-evoluzione.
Una Paideia che fornisca la consapevolezza adeguata a concepire la scienza e la tecnica non come gli strumenti prometeici per un progresso meramente quantitativo, ma come gli strumenti per costruire un’alleanza con la natura, nella natura, e favorire il miglioramento sostenibile ed equo della condizione umana. Una Paideia che riconosca che la ricerca di un nostro rapporto coevolutivo con tutti gli attori del mondo, viventi e non viventi, è la precondizione per la nostra stessa sopravvivenza, e per la possibilità di delineare un futuro vivibile e fecondo. Una Paideia che riconosca l’indivisibilità della vita umana, da intendersi, allo stesso tempo, terrestre, biologica, psichica, sociale, culturale, spirituale (…). Una Paideia che riconosca l’indivisibilità e nello stesso tempo la pluralità dell’umanità.
È urgente una Paideia per l’umanità planetaria, per i cittadini della cosmopolis, dell’emergente patria terrestre, e non più solo per i cittadini della polis. Una nuova Paideia nel tempo della complessità chiede di sviluppare la coscienza di una solidarietà universale, e più ancora di una fraternità universale. Sembra un paradosso parlare di fraternità nel pieno di guerre drammatiche, che rischiano di portarci sull’orlo dell’abisso… La fraternità si fonda sul sentimento di una mutua appartenenza e si vive nella coscienza di appartenere a una stessa comunità e di agire in questo senso. Ma la fraternità può essere, e lo è stata e continua a esserlo, una fraternità chiusa, che fa sentire fratelli contro qualcuno, ‘altro’, diverso. I nazionalismi hanno fomentato questa fraternità che separa.
E sono risorti nel nostro tempo, dopo che parevano indeboliti in seguito alle catastrofi che avevano prodotto con le guerre mondiali. Smarrimento, incertezza, solitudine oggi inducono illusoriamente a cercare ancora nicchie protettive, nemici, capri espiatori. Ma generano chiusura, semplificazione identitaria (…). La storia ci trascina oggi in una drammatica biforcazione: siamo sull’orlo di un oscuro precipizio. Ma, nello stesso movimento, siamo sulla soglia di un possibile strepitoso salto nel processo di umanizzazione. Non sappiamo se l’agonia nella quale siamo entrati sia l’agonia della nascita o l’agonia della morte dell’umanità.
Da parte mia, continuo a ricercare le ragioni di una speranza dentro l’involucro spesso e vorticoso dell’improbabilità e dell’incertezza. La speranza che, nonostante tutto, si stia formando e riformando una coscienza planetaria, una coscienza dell’umanità, diventata, di fatto, una concreta comunità di destino. Oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, la fraternità si definisce in un orizzonte concretamente universale. Nessuno si può salvare da solo. Il progetto moderno di dominio della Terra e di emancipazione dalla Terra, per una eterogenesi dei fini, ci ha fatto tutti insieme riatterrare… Siamo sulla stessa barca, la Terra.
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