L'ANALISI
19 Marzo 2024 - 21:21
CREMONA - «La mia bisnonna da parte materna è stata la prima portalettere donna d’Italia. Una delle tante figure che non vengono menzionate nei libri di storia, ma che sono esistite; donne, mamme, nonne e zie che sono state le prime a fare qualcosa in un determinato campo spianando poi la strada per chi è venuto dopo. Penso che bisognerebbe scrivere tanti romanzi come la Portalettere in cui raccontiamo finalmente figure che in qualche modo hanno fatto piccole rivoluzioni contribuendo a fare la Storia d’Italia». A parlare è Francesca Giannone, e la bisnonna portalettere è Anna Allavena, donna del nord trapiantata al sud, in Salento, per amore, che nel 1934 ha osato sfidare tutte le convenzioni di un paesino ‘ottuso’ per seguire il proprio istinto. Ha cambiato la vita di Lizzanello, in provincia di Lecce, era «bella come una statua greca», ma fino alla fine è rimasta «la forestiera». Eppure non ha mai mollato. Un romanzo d’esordio diventato il caso letterario con oltre 300mila copie vendite e lette, ha vinto il premio Bancarella, è stato tradotto in almeno trenta Paesi e diventerà un film. Giannone ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.
Orgogliosa della propria scelta, fece stampare biglietti da visita: «Anna Allavena, Portalettere (Lecce) Lizzanello)». E proprio il ritrovamento di uno dei quei biglietti sul fondo di una cassetto con i ricordi di famiglia ha fatto scattare all’autrice la scintilla: questa è una vita da raccontare. «È la storia di una donna e della sua emancipazione negli anni Trenta nel profondo sud Italia; attraverso il lavoro trova una dimensione propria che va al di là rispetto a quella familiare. Poi è la storia di una famiglia che seguiamo per ben due generazioni, dagli anni Trenta fino agli albori degli anni Sessanta. Non è soltanto una storia ma tante, perché c’è sullo sfondo l’Italia di quegli anni, passando per il fascismo, la guerra mondiale e la ricostruzione post postbellica».
La prima piccola rivoluzione è partire dal nord per approdare al sud cioè facendo un percorso esattamente contrario a quello che siamo abituati a pensare: «È stata l’avanguardia anche in questo, lei, maestra diplomata, da un piccolo paese della Liguria in provincia di Imperia, si trasferisce nel profondo sud degli anni 30. Sbarca in un mondo molto diverso da quello in cui è cresciuta e si è formata, all’inizio fa molta fatica ad adattarsi». Diventa uno scontro-incontro fra due mondi diversi che finiscono per influenzarsi a vicenda. È una donna che ha stupito portando i pantaloni o andando al bar la mattina a prendere il caffè corretto, rivoluzionando lo stereotipo.
«Fa cose totalmente inusuali che lasciano di stucco mettendosi a fare un lavoro da uomini. All’inizio sicuramente c’è tanta diffidenza da parte della comunità che la vede abitare il mondo in maniera completamente diversa rispetto a loro. Ma è proprio il suo modo di essere a innescare il cambiamento. Le donne vedono che esiste un altro modo di essere donna, diverso da quello che viene loro imposto, cioè curare il focolare domestico, accudire marito e figli e nient’altro. Fa una rivoluzione gentile semplicemente essendo se stessa».
Non va in chiesa, dice sempre ciò che pensa. Fiera e spigolosa, non si piegherà mai alle leggi non scritte che imprigionano le donne del Sud. Ci riuscirà anche grazie all’amore che la lega al marito, un amore la cui forza sarà dolorosamente chiara al fratello maggiore di Carlo, Antonio, innamoratosi di lei nell’istante in cui l’ha vista. «A quell’epoca - spiega Giannone - il portalettere aveva una funzione ben precisa, era un collante sociale, adesso purtroppo non è così se non in alcuni paesi in cui ancora il portalettere entra in casa, fa chiacchiera, prende il caffè. Anna faceva questo anche perché doveva leggere le lettere agli abitanti del paese, dalla semplice bolletta della luce fino a quelle dei ragazzi al fronte. Quindi conosceva i segreti di tutte le le famiglie».
Viene a sapere di amori clandestini ma anche di storie violente e disfunzionali. Ma non tradirà mai. Fonda una casa delle donne, si batterà per il suffragio universale. Aiuterà chi le sta intorno a trovare la propria strada. Per oltre vent’anni, Anna diventerà il filo invisibile che unisce gli abitanti del paese. Prima a piedi e poi in bicicletta, una Bianchi acquistata con il proprio stipendio, consegnerà le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, le missive degli amanti segreti. Senza volerlo – ma soprattutto senza che il paese lo voglia – la portalettere cambierà molte cose, a Lizzanello. Giannone racconta benissimo lo spaccato di un mondo narrando anche quanto succede all’interno dell’ufficio postale.
«Quello è proprio un set a sé che piace tanto ai lettori. Mi sono molto divertita a scriverlo. Vi lavorano oltre ad Anna le due telegrafiste, di quelle che venivano chiamate signorine all’epoca perché per poter fare quel tipo di lavoro bisognava non essere sposate; ci sono il direttore e l’impiegato allo sportello. Attraverso l’ufficio postale respiriamo tutta una serie di dinamiche del paese ci restituiscono proprio uno spaccato della vita di un piccolo borgo del Sud Italia». Uno dei grandi segreti del successo di questo romanzo è proprio nella capacità di costruire personaggi, dar loro un carattere, riuscire a fare entrare il lettore nel loro cuore e a capirli, ancorché figure negative. Il capo ufficio, la cognata, la vicina... è la descrizione di un mondo composito e per certi versi affascinante.
All’interno della famiglia, anche grazie a lei ci sono delle evoluzioni. «I figli della seconda generazione faranno scelte diverse rispetto ai padri e alle madri. Uno di questi, come Anna, vuole mettersi a fare un mestiere che non viene considerato adatto al suo genere, lo stilista perché è il figlio della sarta del paese è cresciuto tra i vestiti bozzetti ago e filo e quindi disegna dei modelli Gli viene detto che è un lavoro da femmina e intimato di trovarsi un lavoro da uomo e quindi viene mandato in campagna perché possa farsi le ossa e diventare maschio». E invece...
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