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Sabato 30 agosto

Il filosofo cremonese Mauro Ceruti ospite
al Festival della Mente di Sarzana

Gigi Romani

Email:

lromani@laprovinciadicremona.it

26 Agosto 2014 - 10:13

Il Parlamento europeo a Strasburgo

La storia d’Europa in quattro date 2014, 1944, 1914 e 1815, la storia d’Europa attraverso il Novecento che a seconda dei punti di vista può dirsi ‘secolo breve’ o ‘secolo lungo’. Su questi elementi si articola l’intervento che il filosofo Mauro Ceruti terrà sabato prossimo al Festival della Mente di Sarzana, uno degli appuntamenti culturali più prestigiosi dell’estate italiana, diretto da Gustavo Pietropolli Charmet. Ad anticipare le linee del suo intervento: L’Europa rischia di nuovo l’autodistruzione è lo stesso Ceruti che con Edgar Morin ha pubblicato il volume La nostra Europa per Raffaello Cortina Editore.

«Per spiegare le quattro date e le due definizioni di ‘secolo breve’ e ‘secolo lungo’, parto da un’altra data: 1989 che vissi nella piena maturità della mia attività di filosofo. Con la caduta del muro di Berlino finiva un mondo, finiva una certa definizione geopolitica dell’Europa, ma in un certo senso terminava anche il Novecento».

Eric Hobsbawm in seguito elaborò la definizione di ‘secolo breve’…

«Come tutte le definizioni anche quella di ‘secolo breve’ cercava di spiegare una situazione, leggere la realtà, definirla. Il Novecento si apre il 28 giugno 1914 e l’attentato di Sarajevo e si chiude nel 1989 con la caduta del muro di Berlino».

Alla definizione di ‘secolo breve’ lei aggiunge un’altra definizione: ‘secolo lungo’. Perché?

«Tutto nasce dal volume che poco dopo la caduta del muro di Berlino scrissi con Edgar Morin dal titolo Un nuovo inizio. Al secolo breve si affianca il secolo lungo che forse stiamo ancora vivendo e che si apre col 1815 e il congresso di Vienna, passa attraverso le due guerre civili europee ed ha come protagonisti gli Stati nazionali e la loro ambivalenza».

Cosa intende dire per ambivalenza degli stati nazionali?

«Gli Stati nazionali sono un’invenzione dell’Europa, della cultura occidentale. Nel secolo lungo i progetti nazionali, dapprima fecondi, integratori e mobilitatori di grandi energie sono diventati sempre più problematici e generatori di conflitti. Sul territorio europeo, fra l’altro difficilmente definibile a livello geografico come ho espresso nel mio volume La nostra Europa, convissero etnie, culture, linguaggi, religioni, l’invenzione dell’idea di nazione parte da lontano, dalla necessità di porre fine alle guerre di religione. Nell’arco del ‘secolo lungo’ si è passati a concepire gli Stati europei quasi esclusivamente come Stati nazionali monoetnici, basati su un’idea di cittadinanza esclusiva, separati gli uni dagli altri da confini rigidi. Ciò ha condotto a una serie interminabile di conflitti fino alle due guerre mondiali».

Insomma, sembra di intuire dalle sue parole che ciò perduri e si rischi di vivere una terza guerra mondiale, come ha detto papa Francesco…

«Il rischio è alto. Abbiamo esportato in tutto il mondo l’idea di nazione monolitica e questo sta causando conflitti e tensioni. Oggi la situazione internazionale appare altrettanto critica che nel 1914. È tornata la ‘sindrome Sarajevo’, la possibilità che conflitti locali non previsti e non controllati possano dilagare e generare una conflagrazione più ampia. Gli attori globali che oggi operano nel mondo non sono solo le potenze europee del 1914. Sono tutti quanti sembrano avere ereditato la condizione di sonnambuli di quel tempo. L’imperativo primario sembra essere quello di massimizzare i propri interessi unilaterali senza alcuna riflessione sulle conseguenze a breve e a lungo termine del proprio operato».

La soluzione?

«Capire che l’identità sta nel molteplice come disse Jacques Le Goff quando gli fu chiesto quale era l’identità dell’Europa».

Cosa intende dire?

«La cultura europea che è poi diventata la cultura occidentale si formò sulle quattro colonne di cui dissero gli umanisti. Ovvero le tre grandi culture monoteiste e il recupero della cultura classica, in molti casi, soprattutto per quella greca, mediata nientemeno dagli arabi. Per questo la cultura europea è cultura del molteplice, ha nella sua genesi l’intreccio di culture e di etnie. La cultura europea è fatta di inclusione e non di esclusione».

Viene da pensare ai grandi imperi…

«La cittadinanza nell’impero romano non cancellava le diversità culturali e di culto. Insomma le diversità convivevano».

Sembra di capire che la richiesta della comunità europea agli stati membri di fare un passo indietro sulle loro prerogative nazionali sia una necessità…

«Lo stretto orizzonte nazionale, ma anche la chiusura dell’Europa a mo’ di fortezza sono non solo anacronistici, ma irresponsabili. Deve tornare a prevalere l’Europa della democrazia e dei diritti sul’Europa del pragmatismo e sull’Europa identitaria».

Ovvero?

«L’Europa è un progetto, non è un territorio dai confini definiti e assoluti, è un’idea, è la capacità di problematicizzare, è una costruzione mentale. L’Europa deve tornare a frequentare il principio dell’unità nella diversità e della diversità nell’unità. In Europa sono nate le Università, luoghi di interfecondazione fra saperi molteplici e plurali. Se noi europei, noi occidentali saremo in grado di far parlare questo nostro pensiero uno e molteplice allora, forse, eviteremo di cadere nella miopia che nel 1914 portò alla prima guerra mondiale».

Insomma, un cambiamento di pensiero e di atteggiamento sta alla base della salvezza dell’Europa e dell’Occidente?

«Bisogna saper affrontare la complessità e fare delle diversità delle risorse, cambiare la nostra mente».

Anche per questo è stato invitato al Festival della Mente?

«Mi ha contattato Gustavo Pietropolli Charmet dopo aver letto La nostra Europa. Mi ha fatto piacere constatare da subito che era perfettamente in sintonia con l’Europa raccontata da Morin e da me, un’Europa che è costruzione della mente, è pensiero e modo di pensare. In questo senso parlare d’Europa vuol dire affrontare la genesi e ipotizzare lo sviluppo della cultura e del sapere occidentale, del modo con cui la nostra mente pensa il mondo. Ed è questa una necessità stringente e urgente visto i tempi che corrono, è un tentativo di sconfiggere quella miopia degli interessi particolari che ci fa rischiare l’autoannientamento».

CHI E' MAURO CERUTI

Mauro Ceruti insegna Epistemologia della globalizzazione all’Università Iulm di Milano, dove è Direttore del Dipartimento di Studi classici, umanistici e geografici. Ha svolto la sua attività di docenza e di ricerca presso l’Università di Ginevra e presso il Centro di Studi Transdisciplinari di Antropologia, Sociologia, Politica (CETSAP/CNRS) di Parigi. È stato Preside della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano Bicocca e della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bergamo. È stato membro del Comitato Nazionale per la Bioetica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È stato Presidente della Commissione del Ministero della Pubblica istruzione per l’elaborazione delle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Studioso di fama internazionale, i suoi libri sono tradotti in molte lingue: l’ultimo è La nostra Europa (Raffaello Cortina, 2013), scritto con Edgar Morin.

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