Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

IL COMMENTO AL VANGELO

La preghiera apre a fede e speranza

Un atto di resistenza spirituale contro il disfattismo e la fretta del 'tutto e subito'

Don Paolo Arienti

19 Ottobre 2025 - 05:20

La preghiera apre a fede e speranza

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: ‘Fammi giustizia contro il mio avversario’. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: ‘Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi’». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Lc 18,1-8

Ogni testo antico, soprattutto se pretende di consegnarci un significato spirituale o ulteriore, richiede precise operazioni di rilettura. Si chiama tecnicamente ‘ermeneutica’, interpretazione… perché cose antiche, magari connotate storicamente (si dice ‘datate’), possano parlare ancora nella loro potenza. L’interpretazione, l’‘ermeneutica’ del vangelo di oggi ci viene fornita direttamente da Gesù stesso. Luca mette sulla sua bocca la spiegazione della piccola parabola subito dopo proposta: occorre pregare incessantemente, senza mai stancarsi. E non è un caso che il racconto inizi con toni amari, perché riassume con grande efficacia proprio l’intuizione che abbiamo nel cuore: le cose non cambiano e… non cambieranno mai. L’ingiustizia dei soliti prepotenti è invincibile. Solo un amore più grande e una speranza che non si arrende possono piegare certe dinamiche distorte, convertire i cuori. Gesù è portatore di questa sfida che sa andare oltre le ferite di oggi e desidera ricostruire, sempre. Ma questo modo di vedere la storia, le persone, le cose non è facile. Richiede l’impiego delle nostre migliori energie ed è costantemente esposta all’inquinamento del disfattismo e del realismo, moneta corrente soprattutto nelle società, come forse la nostra, costruite sul ‘tutto e subito’ e sul ‘quanto costa?’.

I tempi della speranza e della guarigione del cuore non sono sincronizzati con la fretta che vede solo il risultato, lo richiede subito perché non si può reggere la fatica. In queste terribili ore di pace, tregua e nuvole ancora dense su tanti scenari di guerra come non pensare ai decenni che serviranno per ricucire storie, riannodare vite familiari spezzate, spegnere almeno un po’ la sete di vendetta? Quando si è costretti a vivere, o sopravvivere, tra muri che dividono e macerie ovunque… quanto amara sarà la desolazione dei cuori? Allora come oggi certe cose sembrano definitive, installate senza alcuna possibilità di modifica. Proprio su questa sclerosi interviene Gesù rilanciando una prospettiva più grande: la fedeltà di Dio. Scomodando addirittura un avverbio che ai più apparirà scandaloso: prontamente. In ballo c’è non la soluzione del problema angosciante del male, quanto piuttosto la promessa di un suo sciogliersi in una promessa che non lascerà delusi. La misura però non è tanto l’esito finale, quanto la sopravvivenza della fede. Al suo ritorno, il Figlio troverà ancora fede sulla terra? Ovvero: ci sarà ancora spazio per una speranza che non abbia già capitolato sotto il peso della miseria dell’oggi e della schiavitù di chi è esautorato?

Come domenica scorsa il tono di Gesù poteva apparire sconsolato, quasi deluso dal mancato ritorno dei nove lebbrosi guariti, così l’interrogativo odierno sa di incertezza. Perché la speranza non è un arbusto che cresce spontaneamente, magari tra le rocce. Si tratta piuttosto di un’attitudine, un modo di essere e di pensare ‘controfattuale’, che cresce solo se ce ne prendiamo cura, solo se il nostro atteggiamento sa guardare oltre. Solo così le prospettive del Vangelo (dalle beatitudini alle guarigioni, dalle parole di riconciliazione al gesto supremo della croce…) possono acquistare valore: al Vangelo serve un tempo lungo, perché la battaglia è in corso e le contraddizioni sono il nostro pane quotidiano.

A Gesù interessa che il nostro cuore non si raffreddi nell’esercizio della condivisione degli obiettivi, nella paziente costruzione di un desiderio che guarda al domani. Come quella donna che, contrariamente all’evidenza, spazza dalle macerie la sua casa ormai senza muri a Gaza; o come quella madre che ostinatamente mette al mondo un figlio. Pregare allora equivarrà ad alimentare la speranza, riconsegnare ad un altro la sovranità di un processo che sfugge al nostro controllo. Per qualcuno, anche di molto quotato, questo equivale ad una illusione. Per chi intende buttarsi nella ragionevolezza di un amore più grande sarà il carburante della vita, per sé e per un mondo troppo povero per bastare a sé stesso.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400