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IL COMMENTO

Pasqua: nei Vangeli Gesù è il Vivente

Sentirsi dire che Cristo è risorto è il suono più controfattuale che sia mai stato emesso

Don Paolo Arienti

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fguerreschi@laprovinciacr.it

31 Marzo 2024 - 10:00

Pasqua: nei Vangeli Gesù è il Vivente

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

(Giovanni 20,1-9)

Forse ha ragione chi sostiene che le religioni sono nate per offrire all’umanità una consolazione. La capacità di generare simboli e con questi interpretare la vita, arginarne la durezza e aprirla ad altro è infondo il segreto potentissimo di ogni religione. L’esperienza cristiana non è meno esposta a questa matrice, e la fede, per suo stesso statuto, è anche un cammino incerto, affidato ad un darsi per fiducia che non è mai scontato. Per questa ragione il Cristianesimo non è solo una teoria teologica o filosofica, uno schema interpretativo del reale, una lezione accademica. È molto di più: è storia, è esperienza… da fare e da rifare. Non sia mai che la domanda del credere, e quella ancora più scottante del credere a chi, si sciupi, divenga scialba e priva di forza. Il ritmo domenicale che ‘costringe’ al confronto con il Vangelo e, in queste ore, l’annuale ricorrenza pasquale assolvono proprio a questo compito: ci provocano a scontrarci con la pretesa di un annuncio; ad incontrare chi incarna questo annuncio; a voler mettere alla prova il succo vitale che da quell’annuncio rimbalza su di noi.

Sentirsi dire che Cristo è risorto è il suono più controfattuale che sia mai stato emesso. Potrebbe essere una pia illusione, tanto potente quanto vuota. Oppure potrebbe essere la realtà veramente nuova che riceviamo dall’esterno, dalla testimonianza di altri, e che davvero riscrive i codici della nostra esistenza. Se Gesù non è stato solo il crocifisso, uno dei tanti disgraziati ingiustamente condannati nella storia del potere umano, ma è anche colui che vive, la vita stessa di Dio che in qualche modo ci attende e resta con noi, siamo sorpresi, spiazzati; e con noi è sorpresa e spiazzata anche la struttura stessa del fatto religioso. Non sarebbe bastato il sacrificio della croce? Non c’era forse in ballo la necessità di placare Dio con una morte cruenta, fatta più o meno sulla falsariga dei sacrifici di ogni tempo? Non bastava sangue per sangue?

Con la Pasqua i Vangeli osano di più, e la loro controfattualità raggiunge il massimo: ora non è più certificato lo scambio della vita per la morte; siamo oltre: ora è vita per vita, nella promessa che a Dio, se esiste nel modo della testimonianza evangelica, interessa solo la vita. Per i Vangeli, che coagulano in pochissime battute l’annuncio del risorto, Gesù è il Vivente. Egli continua la modalità misteriosa in cui Dio è egli stesso il Vivente: c’è e si sottrae, si rende visibile e sparisce, dice di abitare nella storia umana, ma con profonda discrezione e potente silenzio. Ed è disposto a sparire laddove la libertà umana si fa autoreferenziale, indifferente o pretenziosa.

La Pasqua celebra questa vita: una vita fatta così, e solo così in grado di cambiare la storia, senza le rotture violente delle rivoluzioni armate, ma con la discrezione di una promessa.
I discepoli di oggi, smarriti ed incerti davanti ai venti di prepotenza e di guerra che si stagliano attorno a noi; le donne di oggi, simbolica di ogni marginalità cui non viene dato credito; i centurioni di oggi, custodi di un ordine troppo precario per autoconservarsi… impattano con questa notizia: Gesù, il crocifisso, non è rimasto intrappolato nel sepolcro. L’ingiustizia non lo ha finito del tutto. La sua parola non è stata messa a tacere. Il suo corpo – secondo la testimonianza oculare di alcuni – è sparito. Che l’abbiano rubato? Che l’abbiano nascosto perché nei secoli si potessero fondare chiese di potere, costruire cattedrali incombenti e instaurare un clero detentore della verità? Dentro tutte queste cose, accadute con maggiore o minore consapevolezza da parte dei cristiani, quel Vivente è rimasto a pungolare, a ridire la vita vera, a non giudicare alcuni meritevoli ed altri da bocciare, a rinnovare un’alleanza.

Quell’alleanza di gratuità e di amore che ogni uomo che viene al mondo sente dentro di sé: l’unica autorizzazione alla vita, l’unica certezza. Se manca, è la vera morte. Se vacilla, è il dramma del fallimento.
Pasqua significa ‘passaggio’ come quello degli Ebrei durante l’esodo, come quello di Gesù dalla morte alla vita nuova. E questa parola, Pasqua, interpreta ancora oggi per tutti il desiderio profondo che le nostre esistenze abbiano un valore e siano nelle mani di qualcuno che non le smarrisce.
Illusione o verità? Consolazione o realtà? È questa la sfida della Pasqua di Gesù.
Buona Pasqua a tutti!

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