L'ANALISI
09 Novembre 2025 - 05:20
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
(Gv 2, 13-22)
Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù va parecchie volte al tempio, come se intrattenesse con quel luogo un rapporto speciale, privilegiato, in linea con il cuore del popolo ebraico. Il Tempio, infatti, era la più grande istituzione spirituale di Israele dopo la Legge: il luogo di culto voluto da Davide e Salomone, più volte ricostruito dopo le alterne vicende che avrebbero portato il popolo via dalla terra promessa. Insomma, si trattava del centro di tutto, il luogo del Santo dei santi in cui una volta all’anno veniva compiuto il sacrificio di espiazione con il sangue di un capro. La stanza interna del tempio era separata dal resto da una tenda: al suo interno un altare rivestito di una lamina dorata. E sarà proprio quella tenda a fendersi nel momento della morte di Gesù, sempre secondo la narrazione evangelica: ad indicare che ormai per i Cristiani è il corpo di Cristo, la sua vita, il suo destino di amore ad essere il vero tempio, in cui vittima, altare e sacerdote coincidono.
Dunque un rapporto speciale con il Tempio: Gesù ebreo, Gesù Figlio, Gesù che va verso il compimento della sua esistenza e del senso della sua missione. Se lo sarebbero ricordato secondo l’appunto di Giovanni i discepoli, a valle della morte di croce: vedendolo morire così, ricevendo il messaggio inaudito della risurrezione avrebbero dunque capito che i codici del sacro potevano e dovevano cambiare. Ora, nell’alleanza stabilita in Gesù, non ci sono più edifici sacri, non ci sono più oggetti intoccabili… ma la vita del Figlio è il terreno del sacro, ciò che diviene intoccabile ed indisponibile. Come accade, o dovrebbe accadere, per la sacralità di ogni essere umano, di ogni vivente che per questo non dovrebbe essere ridotto a schiavo, oggetto, strumento di potere o di piacere. Perché la carne del Figlio e dei figli è ora sacra.
È per questo motivo che Giovanni si permette di presentarci un Gesù del tutto inedito, certamente non sequestrato dalla narrazione buonista del pastore che accarezza le sue pecorelle: qui lui è deciso, addirittura si adira e scaccia i mercanti dal tempio, rovescia i loro tavoli e proclama la deputazione unica di quel luogo, certamente non di tipo economico. Un’altra economia, un’altra logica deve essere riconosciuta e rispettata: quella della gratuità, messa al sicuro da ogni logica mercantile, tanto più di carattere religioso. Quante volte le preghiere, i riti, i culti, anche senza intenzioni malevole, sono deformati in termini di interesse! Quante volte si invoca una Provvidenza perché a me vadano bene le cose e a me, prima che agli altri o al mondo, la vita possa arridere! Scivoloni comprensibili, legati alla pochezza e alla fragilità del cuore umano, da cui nessuno di noi è esente.
Ancora una volta il Vangelo ospita un racconto di provocazione e chiarezza: una ulteriore occasione di verifica del cuore del credente, del suo approccio al sacro e dell’uso (o abuso) che ne potrebbe fare.
Compresa un’altra, gravissima provocazione: quella di identificare il tempio con la carne stessa di Gesù, predicendone morte e risurrezione. Questo passaggio rende il brano di oggi non solo una polemica di circostanza o di prassi contro i mercanti del tempio di ieri o di oggi, ma molto di più una profezia, un passaggio teologico chiave, tipico solo della fede cristiana. Giovanni costringe il lettore a forzare la sua visione religiosa, virandola verso la storia laica di Gesù: non una cosa, non un cielo, nemmeno un racconto, ma la persona stessa del maestro ora assume il ruolo della mediazione tipica del tempio. Per questo, ogni volta che i Cristiani pregano insieme, concludono con la formula ‘per Cristo nostro Signore’, ove quel per è la ragione, il mezzo, la mediazione sacra che ci introduce al Padre; oppure pregano il Padre Nostro, usando le parole autorizzate direttamente dal Figlio. Da quel momento descritto in toni polemici da Giovanni il cielo è sulla terra, perché lo spazio ‘ritagliato’ del tempio ora coincide con i gesti, la voce e la storia di Gesù, il Figlio amato. Lui è il vero tempio che può essere abbattuto e ricostruito perché è oggetto dell’amore fedele del Padre, molto più del tempio di pietre che i Romani avrebbero devastato qualche decennio dopo la sua morte, nel 70 d. C.
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