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LE STORIE DI GIGIO

Il re del marubino ha il cuore generoso e gli Occhi Azzurri

Achille Mazzini, simbolo della cucina cremonese, cede l’attività e va in pensione. Dopo 49 anni ai fornelli insegnerà i segreti del mestiere ai bimbi autistici della onlus

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

30 Giugno 2025 - 05:25

Il re del marubino ha il cuore generoso e gli Occhi Azzurri

CREMONA - Cuoco o chef? «Meglio cuoco, all’italiana», lo previene la moglie, Claudia. L’uno o l’altro che sia, Achille Mazzini non ha bisogno di titoli: bastano quelli conquistati sul campo nella sua lunga, lunghissima carriera. È un simbolo della cucina cremonese, il patron dell’omonima Enogastronomia di corso XX Settembre, un baluardo della tradizione culinaria locale che ha però saputo rivisitare con ricette innovative. Ora, dopo 49 anni ai fornelli, Mazzini ha deciso di compiere il grande passo: andare in pensione e cedere l’attività. Ma un cuore generoso come il suo non poteva restare fermo: si impegnerà nel mondo del volontariato insegnando i segreti del suo mestiere ai bambini autistici della onlus Occhi Azzurri.


Mazzini, 67 anni, è un figlio d’arte anche se il suo destino non sembrava scritto. «Sono perito elettronico. Mentre ero in quinta, purtroppo è mancata mia madre, Ebe. Ho dato gli esami di Maturità e ho poi cominciato ad affiancare mio padre aprendo, nel 1976, il negozio». Il papà, Franco, era reduce da 29 anni di stagioni invernali ed estive passate nei ristoranti e negli alberghi delle mete turistiche più esclusive. Da ragazzo il figlio ha avuto la fortuna di seguirlo in due di quelle trasferte, al Golf Hotel di Madonna di Campiglio e all’Hotel du Lac e du Parc di Riva del Garda.


«Nel primo caso, ho lavorato sull’erba del golf; nel secondo, ho fatto l’aiuto bagnino ma durante la pausa, da mezzogiorno alle 2 del pomeriggio, mi piaceva sbirciare in cucina. Ho visto piatti fatti tornare indietro dallo chef perché non erano perfetti, compreso per tre volte il ‘cereghin’, l’uovo al burro sfornato da un cuoco cremonese che non aveva la giusta consistenza del tuorlo e dell’albume. A quell’età non sapevo bene cosa sognavo di fare, ma ho sempre avuto un’ammirazione per mio papà. Quando tornava a casa, dava spesso una mano nei locali della città, come i Cerri ai tempi del vecchio ospedale, e io me ne stavo lì a guardare. È stato un buon insegnante, anche se chiedeva non il 100 ma il 110 per cento, e mi ha trasmesso il patrimonio di esperienze e conoscenze accumulato lontano da Cremona».


Al padre e al figlio si è aggiunta la figlia, Patrizia, 64 anni. «Una colonna: è lei che ha svolto sempre la parte divulgativa e soprattutto psicologica nel rapporto con i clienti». La prima gastronomia Mazzini era in via Aselli, poi in corso Matteotti e, dal 1993, nella sede attuale. Da dove è passata mezza città attirata dai prodotti in vetrina. «Oggi siamo conosciuti specialmente per due proposte: il tipico marubino cremonese, preparato seguendo una ricetta depositata dal notaio che abbiamo avuto l’autorizzazione di fare nostra, e, anche se sembra assurdo, le polpette, il cui merito va agli studenti dell’Apc».


Una vicenda divertente: «Si è presentato un giovane chiedendo un panino con prosciutto crudo, polpetta e maionese. ‘Non te lo faccio’, gli ho risposto. Un giorno ne è avanzato uno preparato da quei ragazzi e l’ho assaggiato perché avevo fame. ‘Veramente buono’, mi sono detto’». Mazzini ha inventato leccornie che sono entrate nei libri di cucina, come il gnocco alla parigina con all’interno il salame, la famosa rivisitazione della torta bertolina in onore di Ugo Tognazzi e il tortello al torrone, una combinazione che fece molto discutere.


«Quella è stata un’iniziativa di Massimo Rivoltini. Per la Festa del torrone 2010 mi ha buttato lì: non si può fare qualcosa con il torrone che non sia sempre e solamente un dolce? Mi intrigava l’idea della pasta fresca. Ricordo che abbiamo ingaggiato una sfida con il tortello dolce dei cremaschi e quello di Castel Goffredo all’erba amara. Alcuni ristoratori hanno messo la mia creazione nel menù e, sinceramente, all’inizio ero un po’ infastidito, poi ho capito: significa che ho fatto qualcosa di buono».


Il gourmet di corso XX Settembre si è impegnato molto per migliorare se stesso: «Ho frequentato corsi per diventare sommelier professionista e degustatore di formaggi, olio extravergine, aceto balsamico e birra Slow Food. Ho spaziato in altri campi per essere educatore dei clienti, dare loro la possibilità di capire ciò che portano a casa e mangiano, com’è composto e anche perché ha un determinato prezzo. Educare anche dal punto di vista sensoriale, insegnare il gusto in bocca, una cosa che abbiamo perso. Oggi la maggior parte delle volte il cibo lo buttiamo giù».


Volto noto di Confartigianato, non si contano le sue partecipazioni da protagonista a manifestazioni come, oltre alla Festa del Torrone, a quella del Salame e a Formaggi & Sorrisi. Un cuoco, uno chef moderno, non prigioniero del passato ma allo stesso tempo profondamente legato alle sue radici.
«La cucina segue le mode, i cambiamenti della società. Sperò però che ci siano sempre persone come me che riescono a mantenere vive le tradizioni. Sono le tradizioni a raccontare la nostra storia, che è diversa da qualsiasi altra. Non esiste un piatto che mi riesce meglio o uno peggio. No, perché nella tradizione c’è la semplicità e nella semplicità il riconoscimento delle origini».

Ora la svolta. «Abbiamo ceduto la nostra eredità ai gestori dell’enoteca Somm Wine che ci hanno promesso di seguire la nostra impostazione. Al posto di Enogastronomia Mazzini il negozio si chiamerà Storica Gastronomia Mazzini, un omaggio a ciò che siamo». Lasciare non è stata una decisione facile: «A marzo mia sorella è diventata nonna; io, come lei, vorrei dedicare un po’ di tempo a me stesso ma anche portare avanti in qualche modo quei piatti che sono solamente nostri e che ci fanno riconoscere. Le abitudini danno sicurezza, determinano lo scorrere dei giorni. Quando esci da un posto e ti ritiri in un altro, di colpo è come ritrovarsi in un angolo. E questo non è semplice da accettare. Anche da qui l’esigenza, la voglia di dare, fare qualcosa per gli altri».


Gli altri sono i bambini con disturbi del neurosviluppo seguiti da Occhi Azzurri. «Sono andato da loro, ho conosciuto una realtà veramente significativa. C’è la cucina, l’orto e molto altro. Ma mi hanno spiegato che al compimento dei 18 anni lo Stato non si interessa di queste persone. La mia impressione è che ci sono tanti ragazzi e soprattutto tanti genitori bisognosi di essere aiutati. Mi piacerebbe poter insegnare ai loro figli autistici come, ad esempio, si preparano i marubini in modo che domani possano inserirsi nel mondo del lavoro. È questo il progetto che ho in testa».
Dopo lo sguardo al futuro vicino, il ricordo del passato, recente e lontano.


«Quanta fatica, ma anche quante soddisfazioni. Negli anni Sessanta-Settanta c’erano solo due o tre gastronomie e tra i clienti c’erano famiglie che non avevano l’opportunità di andare al ristorante e potevano solo permettersi di portarsi a casa il sabato un piatto, chiamiamolo così, d’asporto. Il take away di adesso. Ne ho vista tanta di quella gente, noi siamo sempre stati una via di mezzo, uno spartiacque anche sotto il profilo economico». Orgogliosi, lui e la sorella, del loro cammino, professionale e umano fianco a fianco.


«Il cuoco con un suo piatto deve essere in grado di trasmettere sentimenti, emozioni, ricordi, profumi. Senza l’aiuto di Patrizia non sarei riuscito a fare tutto questo. Un grazie va anche ai nostri cari che, nel tempo, ci hanno supportato e sopportato. La cosa più difficile è stato, sia quando insegnavo a scuola sia durante qualche degustazione, far capire che in cucina c’è entusiasmo, voglia di imparare, sbagliare e ricominciare ma, soprattutto, umiltà e sacrificio. Spero di non vedere scomparire, ribaltare completamente il bagaglio di conoscenze e passione che, con nostro padre, abbiamo costruito». E che Cremona, per mezzo secolo, ha gustato.

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