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Noi, generazione Peter Pan con il bastone da passeggio...

Ci perdiamo in un bicchier d’acqua perché abbiamo una paura matta di annegare. Ma d’altronde, è anche vero che nessuno ci ha mai insegnato sul serio a nuotare

Matteo Aschedamini (studente di Lingue  e Lettere Straniere a Bergamo)

16 Aprile 2024 - 05:30

Noi, generazione Peter Pan con il bastone da passeggio...

Chi sostiene che non si possa fermare il tempo, alzi la mano. Bene, siete in molti. Eppure, vi dirò, più di qualcuno ce l’ha fatta. E non è un manipolo di coraggiosi, né un pugno di fisici molto dediti al Doctor Who. È un’intera generazione che cammina su gambe stanche, abituata fin dalle prime battute dell’infanzia a un’atmosfera che ha il peso della bambagia. Ora questi giovani perdono la bussola, se mai l’hanno avuta, avanzando nelle zone grigie del mondo fisico, nella giungla fittissima dell’età adulta, dove non ci sono punti cardinali e non si riesce a indovinare dove sia finita la stella polare. Un’ondata di giovani, noi tutti rappresentanti della generazione Z.

E mi inserisco io tra gli altri, che ha vissuto, e vive, nell’utero di social, videogame, Netflix, ignara di quale direzione prendere. A metà strada tra i Millennials e la generazione Alpha, partorita già provvista di IPad. Siamo venuti su in una terra arida di pericoli perché vi hanno bandito l’esperienza diretta, il contatto fisico che avrebbe potuto infettarci, complice anche l’imprevisto della pandemia, per carità! Quello per primo ha ottenuto il bando. Qual è il risultato? Beh, il risultato è che per noi il tempo si è fermato, o procede arrancando, azzoppato dall’eccessiva protezione delle mamme-elicottero e dal porto sicuro della realtà virtuale. L’adolescenza è slittata come su uno scivolo ed è andata a finire in gola ai vent’anni, quando si chiudono i cancelli elettrici di Itis e licei e si aprono le aule delle università e gli uffici delle aziende.

E noi eravamo preparati? Lo siamo? Lo saremo presto? Siamo la generazione Peter Pan, in ritardo con le scadenze perché si è addormentata davanti a una partita di Fifa finché l’ha riconsegnata alla vita reale l’ennesima notifica di Instagram. E allora ci siamo alzati, ci siamo scrollati di dosso il tepore del sonno e siamo andati a vivere da soli, abbiamo ottenuti i nostri lavoretti, o nel peggiore dei casi ci siamo chiusi in camera da letto alzando la bandiera bianca dell’anno sabbatico.

Perché non so ancora cosa voglio fare nella vita, non c’è niente che mi piace. Siamo la generazione dell’introiezione e dell’introspezione, dell’analisi compulsiva dei nostri sentimenti, di chi si perde in un bicchier d’acqua perché ha una paura matta di annegare. Ma d’altronde, nessuno ci ha insegnato a nuotare. Il tempo si è arrestato di colpo, siamo rimasti impreparati alla vita, a questa esperienza mistica che è la vita e che negli ultimi vent’anni è andata giorno dopo giorno intricandosi, contorcendosi, finché non è rimasto per noi giovani che un gomitolo inestricabile, una teoria interminabile di domande senza risposte.  

In compenso, siamo armati fino ai denti di un arsenale di insicurezze che incuterebbe timore al più patologico degli ipocondriaci. Il mondo si è fatto più complicato e noi ci siamo fiondati dietro di lui. Abituati troppo bene a parcheggiarci davanti alla televisione, al telefono, alla PlayStation, siamo giunti all’alienazione con secoli d’anticipo sui nostri antenati proletari. Un brindisi alla bambagia, al non pensiero, alla vita leggera, che ora ci ha reso le spalle anchilosate a furia di sostenere il fardello dell’aria.

Gli adulti vanno lamentandosi. E i giovani, nel nostro amato (in evidente crollo nervoso) Occidente, abbandonano le proprie case sempre più tardi, costruiscono le proprie famiglie sempre più tardi, tagliano i traguardi dell’età della consapevolezza senza neanche capire da che parte sono girati. Loro, che sono in linea di massima i lettori più avidi per eccellenza, leggono pochissimo, si informano pochissimo, si interessano pochissimo. E questo è il risultato di un sedicente gioco di specchi, fatto di interessi, denaro, e cultura pop a iosa, a secchiate. È normale: non c’è nulla che stoni con la narrativa a cui le loro orecchie, le nostre, sono state assuefatte da tempo immemore.

E non è colpa nostra. È colpa del sistema. Il sistema. Che poi qualcuno ci spieghi o ci indichi questo sistema! Invece è invisibile. Non funzionano neanche più le teorie di destra e di sinistra, il comunismo, il liberalismo. Sono vocaboli senza carico, carriole svuotate dal post-modernismo, dalla fine della storia, come si usa dire. Peccato che, mentre la storia finiva, noi eravamo qui, in procinto di nascere, vedere e bere la luce, la migliore luce che sia mai esistita. Questo sistema, questo profeta invisibile che ci ha tolto la sedia di sotto al sedere, ci offre cibo e divertimento in abbondanza.

Svago quanto ne vogliamo, quanto ne riusciamo a consumare prima che ci si deprima, ci si chieda dove siamo, ci si risponda che non lo sappiamo, e si decida di non fare niente. Milioni e milioni di Didi e Gogo che aspettano il loro Godot. Non si sa chi. Qualche buon’anima ci spieghi come è capitato che gli Stati fossero messi sulle ginocchia al cospetto del potere delle multinazionali, dei codici binari, delle masse di affrettati e confusi sostenitori del politically correct che arrivano a censurare i libri e castrare la propria lingua come se fosse un docile gattino.

Non si può dire questo e quest’altro, quello è sbagliato, chi la pensa così è razzista, omofobo, chi più ne ha più ne metta. Nel frattempo, c’è chi afferma di essere nato nel corpo sbagliato, di non essere né maschio né femmina, di identificarsi come un’entità poliamorosa priva di genere. Come se il genere fosse l’unico o più importante elemento di definizione nella personalità di un individuo. Ma non è colpa loro. Si tratta dell’ultima frontiera del nichilismo: il loro nulla non è cambiato, ha solo assunto forme diverse. E siccome non sanno a che valori fare riferimento, ecco che attaccano il genere, l’identità, l’ultimo baluardo dell’IO. Tutto ciò perché il sistema, troppo complicato per poter essere spiegato, troppo influente per poter essere fermato, funziona così.

Sapete cosa ci servono? Ci servono i Baroni Rampanti, i Sisifo instancabili, coraggiosi che ostacolino questo sistema di valori senza valori, che non si lascino stremare dallo psicodramma di massa in cui sono costretti a recitare. Resisteranno al sisma della vita nuova che ci attende coloro che si aggrappano con furore romantico ai propri valori, coloro che sono capaci di riconoscersi negli specchi, che non cambiano sé stessi al ritmo estenuante di TikTok, Snapchat, eccetera eccetera.

Resisteranno anche perché altrimenti non possono fare. Non c’è una seconda opzione: il fallimento non è un’ipotesi. Perché per i giovani poeti di campagna ci sarà sempre una Parigi seducente e caotica, farmaco e veleno, e una vita altrettanto caotica. E come dall’alba dei tempi ci toccherà prenderla di petto, oltre ogni difficoltà che ci parerà davanti. Come dice Robert Frost, ‘l’unica via d’uscita è attraverso’. Possibilmente procedendo con lo sguardo alto e non sullo smartphone…

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