L'ANALISI
26 Marzo 2024 - 05:25
La cattiva fama dei privilegi nella cultura odierna non meraviglia. Vengono associati all’ingiustizia e al favoritismo. Come non pensarli la negazione del principio di uguaglianza? Basti pensare ai privilegi della casta politica, alla lotta agli sprechi, alla differenza abissale tra uno stipendio di manager e quello di operaio… Se un ministro si permette di fermare un treno in nome dell’assoluto rispetto della propria agenda e non lo avverte come privilegio, qualcosa non quadra nell’etica pubblica.
Nell’immaginario collettivo popolare i privilegi appaiono particolarmente odiosi perché non si appoggiano sul diritto, ma sul favore. La fattoria degli animali di Orwell ne propone una chiara descrizione: «Tutti gli animali sono uguali, tuttavia alcuni sono più uguali degli altri».
La conferma è sotto i nostri occhi in molti ambiti. La giustizia conosce più velocità in base al censo. In carcere accedono più facilmente ai benefici coloro che possono permettersi l’avvocato di grido. La società spesso discrimina in base alle appartenenze di generazione, di religione, di genere, di classe sociale, di provenienza… Se sei giovane ti toccano contratti precari, se sei donna lo stipendio è mediamente inferiore, se sei straniero ti ricattano con più facilità. I privilegi sono per quelli che hanno il potere di affermarli, rispondono a logiche di potere. Lo scandalo degli stipendi o delle pensioni d’oro torna ciclicamente nel dibattito pubblico, ma non trova soluzione.
Chi può decidere di segare il ramo dorato su cui se ne sta seduto pacificamente? Per non parlare dell’ambito sanitario: il privilegio di un esame clinico o di un intervento chirurgico in tempi ravvicinati è per chi può permettersi l’accesso alla sanità privata.
Dunque, i privilegi si oppongono alla giustizia e all’uguaglianza tra le persone. Tuttavia, a ben pensarci, vi è anche una versione positiva del privilegio, che fa riferimento agli altri due princìpi della Rivoluzione francese: libertà e fraternità. In rapporto alla libertà, il privilegio assume un volto inedito: è la possibilità di riconoscere un dono che si è ricevuto e che si gusta con particolare intensità. Ognuno può elencare una serie di privilegi di cui sente la bontà esclusiva per sé.
C’è il privilegio di amare e di essere amati, di avere una cultura, di aver incontrato maestri di vita, di essere nati dalla «parte giusta» del mondo (quella ricca) e dalla «parte buona» della storia (quella esente da guerre), di godere della libertà di pensiero e di azione, di accogliere una fede religiosa, di partecipare alla vita economica e sociale, di comunicare nella verità, di essere accolti e ascoltati…
Nella società in cui tutto è dovuto, custodire la libertà di sentirsi privilegiati è dono speciale. Richiede la capacità di gratitudine che solo il genio di un regista come Wim Wenders è riuscito a descrivere mirabilmente in Perfect days (2023).
Il protagonista giapponese vive ogni gesto quotidiano come qualcosa di sorprendente. Un uomo qualunque con il gusto della bellezza a cui fa spazio tra le pieghe più ordinarie della vita.
Privilegiate sono le persone che si dedicano agli altri gratuitamente, amano la natura e si sentono parte di essa, coltivano il vino dell’amicizia, si abbonano al cinema o al teatro, preferiscono la compagnia di un romanzo alle chat compulsive, partecipano alla vita democratica. Per capire questi privilegi occorre affinare la sensibilità dell’umano. La logica del dono, ripulita dalla maionese consumistica che si spalma su ogni cosa senza dare vero sapore a niente, fa entrare nella meraviglia del quotidiano. Quando meno te lo aspetti, qualcosa di bello accade. Una mano tesa, un sorriso, una parola, un grido, un soffio, un gesto, un’immagine, una luce, una carezza…
In merito alla fraternità, essa si costruisce intorno alla capacità di privilegiare. Il superamento delle disuguaglianze si concretizza a partire dagli esclusi: il loro protagonismo disegna nuovi rapporti umani. Il pensiero sociale della Chiesa parla di opzione preferenziale per i poveri. Se si parte da loro, è sicuro che nessuno rimane escluso. La fraternità respira coi polmoni della giustizia e della carità. Quando si agisce non sotto dettatura del privilegio di sé, ma dell’amore per il prossimo, allora le cose cambiano.
Tra l’altro, nel mondo biblico, Dio è il primo a fare privilegi: soccorre gli umili, esaudisce la preghiera di una donna sterile, ascolta il grido del popolo oppresso dalla schiavitù, apre il cuore all’invocazione dei poveri, consente a Davide di sconfiggere il più potente Golia, accompagna il popolo in esilio a Babilonia…
L’atteggiamento di Cristo non è da meno: mangia e beve con i peccatori, si lascia convertire da una donna cananea, presenta a modello di fraternità uno straniero di Samaria, si premura di guarire malati e di liberare dal male l’esistenza concreta di persone fragili.
La teologia del Magnificat, messa in bocca a Maria, descrive molto bene la logica: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52).
Il privilegio degli ultimi trova differenti incarnazioni: il bambino non ancora nato, il malato terminale, il migrante sfruttato, i bambini abusati, le donne violentate, gli affamati, coloro che vivono in povertà, i disoccupati, i senza terra, gli ammalati di ogni condizione, i detenuti, le famiglie che soffrono la fragilità dei legami o la povertà educativa, i ragazzi-soldato…
Nel mistero della Settimana Santa appare chiaro che Gesù non è stato un privilegiato. Trattato come «reietto» ha mostrato la forza trasformativa della nonviolenza. Il dono di sé ha consentito di liberare il privilegiato Barabba, di mandare in crisi il traditore Giuda e il rinnegatore Pietro e di far emergere la mediocrità del potere che se ne lava le mani.
Il privilegio del buon ladrone è quello di aver intuito che il paradiso si spalanca nel momento stesso in cui ci si affida a tanto amore piuttosto che stare dentro ai sospetti delle fake-news.
Per questo, privilegiati siamo diventati noi che sappiamo di essere amati grazie all’abbraccio della croce. Alle donne sul Golgota il privilegio di aver resistito rimanendo sotto la croce di Gesù sconfitto per riconoscerne la dignità fino all’ultimo. La loro testimonianza è un invito a non abbandonare gli umiliati della storia, a stare dalla parte dei crocifissi. Un privilegio non per tutti.
*Don Bruno Bignami (Direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei e primo postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari)
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