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Cassaforte del carcere sparita, l'assistente capo assolto ma resta il mistero sul furto

Cadute le accuse di peculato e simulazione di reato contestate a Palmieri a quattro anni esatti dal suo ultimo giorno di lavoro a Cà del Ferro

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

18 Ottobre 2022 - 20:31

Cassaforte in carcere sparita, l'assistente capo assolto ma resta il mistero sul furto

L'avvocato Luca Curatti con Francesco Palmieri

CREMONA - Il suo ultimo giorno di lavoro in carcere da gestore della sala bar-spaccio è stato il 18 ottobre del 2018, giovedì. L’indomani, l’assistente capo Francesco Palmieri, una protesi all’anca sinistra e una invalidità dell’85% (oggi scesa al 70%), in congedo per malattia, tornò con il trolley a Cà del Ferro per prendersi gli effetti personali. Il 23 ottobre, proprio nel bar spaccio fu scoperto l’incredibile furto della cassaforte: 60 centimetri di larghezza per 50 di altezza, peso sui 65-70 chili. Qualcuno la smurò e la portò fuori dal penitenziario: 7.500 euro il bottino. Unico sospettato proprio lui, l’assistente capo Palmieri che della stanza e della cassaforte aveva le chiavi.


Martedì 18 ottobre del 2022, oggi. A quattro anni esatti dal suo ultimo giorno di lavoro a Cà del Ferro, Palmieri, 52 anni, è stato assolto con formula piena dall’accusa di peculato «per non aver commesso il fatto» e, a cascata, dalla simulazione del furto della cassaforte «perché il fatto non sussiste». Il mistero della cassaforte smurata e sparita resta. Quando alle 14,36, il Tribunale ha emesso la sentenza, l’assistente capo Palmieri ha tirato un sospiro di sollievo. «Vorrei urlare», ha sussurrato in aula. «Giustizia è fatta. Dal 23 ottobre del 2018 il comandante Parentera (Pierluigi Parentera, ndr), e la direttrice Lusi (all’epoca Gabriella Lusi, ndr) mi hanno vietato l’accesso all’istituto come ai peggiori delinquenti», si è sfogato fuori.


Un processo indiziario. Lo ha sottolineato il pm Davide Rocco che per Palmieri aveva chiesto la condanna a 5 anni e 9 mesi di carcere, dopo aver esaminato gli indizi «precisi, gravi e concordanti» contro l’imputato. Fischer di ancoraggio, bulloni, intonaco scrostato, effrazioni. Per il pm, «la cassaforte non fu smurata, ma svitata dopo averla aperta. Le chiavi le aveva Palmieri. Parentera non vide effrazioni sulla porta di ingresso. Chi aveva le chiavi della porta? Palmieri». Il pm aveva poi rimarcato «l’assenza di una alternativa». Se non Palmieri, chi? Ma degli stessi indizi, al Tribunale l’avvocato Luca Curatti ha offerto una diversa lettura, incassando l’assoluzione.


Il 21 giugno scorso, in aula Palmieri si era difeso, raccontando di aver gestito il bar spaccio dal dicembre del 2016 al 18 ottobre del 2018, l’anno in cui subì un intervento. Andò in malattia, «ma il ministero mi chiese di continuare a gestire la parte burocratica». E lui continuò, nonostante la malattia, una protesi all’anca e una invalidità dell’ 85% (oggi del 70%). La mattina del 19 ottobre, in congedo per malattia, Palmieri si recò a Cà del Ferro: consegnò tesserino e pistola. «Il 19 pomeriggio mi è venuto un flash. In carcere, in una camera al secondo piano, nell’armadietto avevo i miei indumenti, i miei effetti personali». Tornò in carcere per ripigliarsi le sue cose. Fece avanti e indietro. Le telecamere, un indizio per il pm, lo ripresero mentre entrava alle 19,12, usciva alle 19,40, rientrava alle 20, riusciva dodici minuti dopo.

«Sono andato a prendere una valigia a casa per mettere le mie cose», spiegò Palmieri. I tabulati telefonici, altro indizio, raccontano che alle 21,28 il telefonino dell’assistente capo agganciò la cella a San Daniele Po. Per l’accusa, Palmieri buttò la cassaforte in discarica. «Non sono mai andato alla stazione ecologica. Forse sono andato a casa a prendere la moto per un giro», si era difeso lui. Il 23 ottobre, Palmieri tornò nella segreteria di Cà del Ferro per completare le pratiche relative al passaggio al ruolo civile.

È il giorno in cui si scoprì l’incredibile furto della cassaforte. Danilo Tirelli «non era un assistente capo qualsiasi», per dirla con l’avvocato Curatti. Era responsabile della manutenzione. Tempo prima, insieme ad un collega e a un detenuto, trasportò la cassaforte dalla sala pensionati al bar-spaccio su un carrello, perché pesante. «È plausibile che Palmieri, con la protesi all’anca tolga la cassaforte, la metta nel trolley e se ne vada? Magari quelli con la protesi all’anca fanno di tutto, ma non quello imputato a Palmieri», ha incalzato il difensore, che nello smontare gli indizi su bulloni e fischer, ha smontato anche l’indizio chiavi: «Siamo nelle mani di Dio: un pasticcio, perché è emerso che c’erano duplicati dappertutto».

Ed ancora: «La sala del gestore è difronte alla sala riunioni dove tutte le mattine c’è un assembramento perché si riuniscono tutti gli agenti in servizio. Il 19 ottobre nessuno ha visto la porta scardinata. Passa il 20, passa il 21, passa il 22 e solo il 23 ci si accorge. Tirelli responsabile della manutenzione, viene chiamato per riparare, se vede ripara. Tirelli passava per quel corridoio. Dal 19 al 23 ottobre non ricorda di aver visto una porta scassinata». Quella mattina in carcere arrivò Giovanni Ruggero della Polizia Scientifica, che al processo ha parlato di «segni di scasso» sulla porta e di «segni di scalfittura nello spazio dove si trovava la cassaforte, come se fosse stata sradicata». Di «colature di un liquido lubrificante trovate sul muro» e di un lenzuolo a terra, «come se fosse stato posizionato per attutire la caduta della cassaforte».


Il difensore ha chiuso l’arringa, producendo una foto scaricata da Google. «Questa è la strada provinciale che da Cremona va a Casalmaggiore, da Cremona va verso Parma, da Cremona va verso Brescia. La cella che ha agganciato il telefonino di Palmieri è molto più su. E questa è una prova?». Da quattro anni Palmieri è in congedo stipendiato. Aveva fatto domanda per lavorare a Palazzo di Giustizia. Lo stesso dal quale ieri è uscito assolto. 

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