L'ANALISI
11 Novembre 2020 - 07:00
PARIGI, 10. — «Il gen. De Gaulle è morto. La Francia è vedova». Così ha detto il Presidente della Repubblica Pompidou nel discorso rivolto alla nazione tramite la radio-TV. L'allocuzione di Pompidou è stata brevissima: «Nel 1940 — ha aggiunto — De Gaulle ha salvato l'onore. Nel 1944 ci ha condotti alla liberazione e alla vittoria. Nel 1958 ci ha risparmiato la guerra civile. Egli ha dato alla Francia attuale le sue istituzioni, la sua indipendenza, il suo posto nel mondo».
«In questa ora di lutto per la Patria — ha concluso il Presidente francese — inchiniamoci dinanzi al dolore della signora De Gaulle, dei suoi figli, dei suoi nipoti. Valutiamo i doveri che la riconoscenza ci impone. Promettiamo alla Francia di non essere indegni delle lezioni che ci sono state dispensate e che, nell'anima nazionale, De Gaulle viva eternamente».
È stata la rottura di un aneurisma a provocare la morte del generale. L'aneurisma è la dilatazione della parete di un tratto d'arteria consecutiva ad un suo indurimento.
Il generale avrebbe compiuto 80 anni il 22 novembre.
Un uomo, un mito
Discutibile e discusso come uomo politico, De Gaulle rimane indiscutibile come scrittore. Le sue prime «memorie» sono un modello di grande prosa classica. Anziché attraverso i mille aneddoti, alle mille battute che circolarono sul suo nome, ci sembra che nulla valga meglio a tratteggiarne il carattere, che la disposizione da lui data al ministra Malrauix (avere un ex rivoluzionario, premio Nobel per la letteratura, nel proprio governo, che squisita soddisfazione!) di incoraggiare nei teatri francesi il ritorno alla tragedia. A Corneille, appunto, e a Racine.
Compreso della sua missione, non volle conoscerne i limiti, né accettò di renderne altri partecipi. Ai generali d'Algeria — molti dei quali l'avrebbero seguito ovunque se avesse loro confidato i suoi piani — impartiva ordini di guerra ad oltranza mentre già pensava all'accordo con Ferhat Abbas e Ben Bella. Si stupì che non tutti accettassero di ubbidirlo subito, quando la verità apparve chiara. Si stupì che qualcuno avesse pensato ad ucciderlo. Negò la grazia a Bastien Thiry non perchè questi aveva attentato a De Gaulle, ma perchè con quel gesto l'attentatore aveva — evidentemente — cercato di assassinare la Francia. Così si spiega la politica europea di De Gaulle. A eccezione di Adenauer, trattò i suoi «partners» con irritante sufficienza e si meravigliò, poi, che questi non accogliessero le sue tesi. Un simile personaggio, tempestivamente inserito in un contesto politico europeo unitario, sarebbe stato condizionabile? La domanda è sterile. Certo che la politica europea di De Gaulle fomentò dissensi, determinò fratture, reinserì nel circuito ideologico europeo una ventata di nazionalismo che si aveva motivo di supporre superato dai tempi. Se è vero che la stretta di mano con il cancelliere tedesco sulle rive del Reno nel 1963 suggellò la positiva conciliazione fra due popoli protagonisti della scena europea, è pur vero che l'iniziativa politica che la seguì riaccese antichi timori tra gli alleati e determinò persino un'impennata improvvisa negli Stati Uniti, inducendo Kennedy al viaggio estivo in Germania e in Italia. Molti parlano di timori ingiustificati, di reazione americana deplorevole. Sono rilievi assolutamente secondari, perchè la politica non si fa con le buone intenzioni proprie od altrui, non si fa soprattutto esigendo che «gli altri» si comportino secondo quanto si vorrebbe. Fu questo il torto di De Gaulle verso gli Stati Uniti. Il fatto che Washington non si adattasse alle prospettive francesi (fossero buone o cattive, non conta) lo portò a uno stato di irritazione cronica, quasi irrazionale, tanto più inconcepibile data la asserita vocazione cartesiana del personaggio. Pronto a soccorrere un'America che avesse subito nel Vietnam una seconda Dien Bien Phu, non potè tollerare che gli americani restassero là dove i francesi erano stati costretti a partire. I limiti del ragionevole parvero superati, anche ai suoi più accesi sostenitori, quando sulla scia di tali pregiudizi contro «gli anglosassoni», De Gaulle si mischiò, come parte in causa, nelle diatribe interne canadesi prendendo per giunta posizione contro l’ospite che lo aveva invitato.
La perdita di contatto con la realtà si manifestò in maniera così clamorosa, tragica, quando trovandosi a Bucarest intento ad impartire i soliti consigli al popolo visitato, la rivoluzione di maggio gli scoppiò in casa, mettendo a repentaglio il regime e la stabilità stessa della Francia. Eppure fu allora, al suo ritorno, che seppe dare, ancora, una grande prova del suo vigore. Un appello alla televisione portò alla svolta, alla vittoria della «maggioranza silenziosa» con Parigi ricoperta di tricolori. Poi fu il rapido declino. L'aver rinunciato, anche quando l'avrebbe potuto, alla tentazione dittatoriale, aver abbandonato il suo posto dopo un semplice voto di Popolo, sono i maggiori meriti acquisiti in tempo di pace che possono ben figurare accanto a quelli del tempo di guerra. Tutto sommato le istituzioni che De Gaulle dette alla Francia hanno resistito alla scomparsa dell'uomo e quindi alla prova della storia. E l'Europa? Ora lo sappiamo con certezza, ora ne abbiamo la prova. Per molti, per troppi falsi europeisti, De Gaulle fu un comodo alibi. «Non possiamo far nulla — dicevano — per colpa di De Gaulle». Ma che cosa s'è fatto, dopo De Gaulle? L'Europa attende ancora l'ora della sua unità.
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