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Inizialmente i soci usavano la bicicletta

Il Touring cremonese festeggia i 120 anni dalla fondazione

Il sodalizio fu costituito a Milano alla fine del 1894

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

31 Agosto 2014 - 11:40

Il Touring cremonese festeggia i 120 anni dalla fondazione
La prima uscita pubblica locale fu una gita a Piacenza I primi aderenti erano uomini, per lo più professionisti o commercianti

Era il 1895, l’Italia era unita da poco più di trent’anni, Guglielmo Marconi era un giovanotto che cominciava a sperimentare un sistema di comunicazione di telegrafia senza fili e i fratelli Lumière stupivano i parigini mostrando sorprendenti immagini in movimento. Era il 1895, Cremona era una vivace città di provincia che, seppure afflitta da problemi di emigrazione (è del 1900 la nascita dell’opera pia Bonomelli), sapeva esprimere personalità politiche di alto livello da Leonida Bissolati a Stefano Jacini, pensava alle mense scolastiche anche per i bambini meno abbienti, guardava con orgoglio al neonato ponte sul Po, e scopriva l’architettura Liberty. Ancora un paio di decenni e il mondo sarebbe precipitato in una guerra sanguinosa e senza uguali, ma in quell’ultimo scorcio di XIX secolo nelle «magnifiche sorti e progressive» ci si credeva eccome. E’ in questo contesto che, proprio nel 1895, viene fondata a Cremona un consolato del Touring Club Ciclistico Italiano, costituito all’ombra del Torrazzo a poche settimane dalla nascita del sodalizio a livello nazionale (a Milano) e in contemporanea con Genova, Venezia e Verona, città altrettanto lungimiranti nel proporre un turismo colto, relativamente avventuroso e a portata di due ruote.

La prima uscita pubblica dei soci cremonesi e di qualche simpatizzante ebbe luogo il 24 marzo del 1895, di domenica: una cinquantina di persone capeggiate dal console si accinsero a percorrere la non banale distanza del tragitto Cremona - Piacenza - Cremona dopo aver pianificato una velocità di crociera tra i 12 e i 14 chilometri all’ora, l’inevitabile sosta in trattoria e anche «le fermate per gli indispensabili riposi», come sottolineò all’epoca «La Provincia».

La bicicletta era all’epoca un mezzo di trasporto in rapida diffusione, già ben evoluto rispetto ai propri, scomodi antenati — velocipedi e tricicli —, largamente utilizzato a livello sportivo. Di pari passo si andava sviluppando il turismo moderno, più consono a una società borghese che non poteva permettersi i modi e i tempi del Grand Tour ma che pure aveva tempo libero a disposizione e la voglia di scoprire il mondo. Nel 1878 in Gran Bretagna nacque il Cyclists’ Touring Club a tutela dei ciclisti-viaggiatori e quell’esperienza fornì il modello per analoghi sodalizi in Francia, in Olanda e, appunto, in Italia.

«Per comprendere appieno l’importanza dele azioni che il Touring Club aveva deciso di sviluppare e la natura delle difficoltà che dovevano essere superate — spiega Carla Berinelli Spotti, console del Tci cremonese e autrice del bel saggio 1895 - 2006 Cremona in bicicletta — sarebbe necessario avere consapevolezza dei problemi che un cicloturista doveva affrontare in Italia». E tra questi elenca, oltre alle strade dissestate, anche la segnaletica insufficiente, le scarne informazioni relative a locande e alberghi e l’assoluta inadeguatezza delle norme sulla circolazione stradale che ancora non comprendevano le biciclette. Questo nonostante le due ruote avessero affascinato — nei percorsi protetti del parco di Monza — anche la regina Margherita, ardita nel prendere lezioni da un meccanico milanese.

Cremona contribuisce a tirare la volata e, come ricorda Bertinelli Spotti, ospitava gare e circoli sportivi, ma anche un gran numero di negozi di vendita, noleggio e riparazione di biciclette e accessori. Dal canto loro, i soci del Touring si riunivano al Caffè Restaurant Soresini di piazza Roma (sorgeva nella zona della galleria XXV Aprile). Erano tutti uomini, per lo più professionisti o commercianti, e qualcuno interessato allo sviluppo del turismo e della bicicletta: albergatori e noleggiatori di due ruote. La bicicletta restava un mezzo costoso visto che il modello da uomo costava intorno alle 300 lire (Bertinelli Spotti fa riferimento a un prodotto italiano) e quello da donna addirittura 340 quando un impiegato della Camera di commercio percepiva tra le 1.250 e le 2.000 lire annue. Eppure, e malgrado l’introduzione di una tassa, biciclette e ciclisti si diffondono sempre di più. Al punto da sembrare pericolosi e invadenti tanto che il Comune impose alle biciclette di «correre con una velocità non superiore al piccolo trotto di un cavallo».

Barbara Caffi


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