L'ANALISI
24 Agosto 2025 - 08:38
Alcune immagini della Compagnia dei Piccoli (© Paolo Mazzini)
CREMONA - Sono giovani, esprimono energia e attraverso il loro fondatore e animatore Mattia Cabrini sanno dimostrare il fatto loro. Sono piccoli e non solo cresceranno, ma sono già cresciuti e sanno essere una presenza colorata, allegra e vivace nei Grest cittadini come nei centri estivi, in occasione di impegno sociale come al Ponchielli, dove con Podcast Underground hanno raccontato la stagione di prosa agli under 20. Quest’anno la compagnia festeggia i suoi primi dieci anni e sembra che ci sia da sempre, che lo sguardo aperto e i riccioli un po’ scomposti di Cabrini gentili e familiari. «La Compagnia dei Piccoli è nata nel 2015 dal desiderio di lavorare insieme ad uno spettacolo sul tema del rapporto padri-figli, spunto per il nostro primo titolo: Come una conchiglia di montagna. Storie di padri e di figli – racconta Cabrini -. Eravamo due attori, un musicista, una coreografa e un tecnico. Avevamo costruito uno spettacolo, ma ci mancava un nome. Qualcuno avanzò la proposta di ‘piccoli’, perché c’erano in noi, in piccolo, i diversi comparti del teatro. Vi era anche il sogno di diventare un po’ più grandi. Un giorno, poi, il nostro amico grafico disegnò una formica, che divenne così il simbolo della compagnia».
È la formichina che compare a margine del vostro nome e nelle foto vi rappresenta?
«Piccola di dimensioni, ma instancabile lavoratrice per natura, riflette la nostra idea di teatro artigianale, in cui costruiamo tutto ‘con le mani’, dai testi ai costumi, dalle luci alle scenografie. La dimensione comunitaria della formica, poi, assomiglia sempre di più alla nostra realtà associativa, in costante crescita e al cui interno ognuno svolge un ruolo specifico e fondamentale. La formica della Compagnia dei Piccoli è rossa perché ha l’ambizione di punzecchiare, proprio come i nostri spettacoli sono una presenza nel teatro cittadino».
I lavori con i ragazzi della scuola di seconda opportunità, lo spettacolo Altrove sulla condizione giovanile, raccontano di un teatro immerso nella realtà.
«I primi spettacoli sono nati da un desiderio di scrittura e creazione interni al gruppo. Si sono affrontati diversi temi di attualità come quelli della violenza di genere, della memoria, della legalità, del carcere, dell’adolescenza e del crescere. Tutti questi lavori sono nati da un lavoro di ricerca fatto con interviste, incontri con operatori e professionisti dei diversi settori coinvolti».
Da qui quale filone si è poi aperto?
«Si è aperta poi la sezione dedicata al teatro per bambini. Dal lavoro con i bambini durante i corsi ci siamo accorti che era necessario creare un teatro per i nostri piccoli allievi che facevano laboratorio, ma non avevano spettacoli dedicati a loro da guardare sotto casa. Sono nati spettacoli legati al tema dell’ambiente, dell’acqua come bene comune, del gioco, della cura e dell’affido. Tutti questi lavori sono nati dalla collaborazione con enti e istituzioni come scuole, biblioteche, associazioni, aziende con cui si è curata la produzione degli spettacoli sia dal punto di vista economico che narrativo».
Tutto ciò non ha impedito di affrontare testi della tradizione, del teatro, quello con la T maiuscola.
«Se non ti misuri con i grandi non cresci, anche col rischio di sbagliare. Abbiamo tentato di usare i grandi classici attualizzando temi eterni. È stato il caso della messinscena di Antigone, ma anche di Sogno di una notte di mezza estate, Don Giovanni, Le serve e Risveglio di primavera. Si tratta di allestimenti che ho condiviso con il gruppo storico della compagnia».
A questo si affianca un aspetto più cinematografico che coniuga racconto della realtà e fiction.
«La Compagnia dei Piccoli ha prodotto tre docufilm e ce ne sono in cantiere altri due per il 2026/2027. Uno in collaborazione con ASST dedicato alla Cura presso luoghi di riabilitazione psichiatrica e uno in collaborazione con un giovane e promettente regista cinematografico cremonese che già con il suo primo lavoro ha avuto un discreto successo».
Perdura l’attenzione all’inclusione e alla disabilità.
«Qualcuno lo chiama teatro sociale, noi pensiamo al teatro come motore di relazioni. Dopo il lavoro fatto sul ricordo di Chiara Galimberti con la famiglia e l’associazione Giorgia, l’intenzione è lavorare sulla fragilità come condizione che è di tutti. Dopo lo spettacolo Volammo davvero l’idea è quella di consolidare il lavoro con Il Carrozzone degli Artisti. Di carne al fuoco ce n’è».
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