L'ANALISI
04 Agosto 2025 - 19:09
CALVATONE - In via Santa Maria, resiste ancora l’ultimo “filoss” del paese. Una parola dialettale, quasi scomparsa, che racconta molto di una cultura contadina fatta di relazioni, condivisione e memoria orale. I filoss – derivazione lombarda e padana del più noto “filò” veneto – erano le veglie serali invernali che si tenevano nelle stalle o nei cortili, dove famiglie, vicini e amici si riunivano per scaldarsi, chiacchierare, raccontare storie e leggende, mentre si lavorava alla lana, alle ceste o ad altri mestieri manuali. Non c’erano televisioni o cellulari, ma c’erano il tempo e la voglia di stare insieme.
Oggi quei momenti sembrano lontani, ma in via Santa Maria c’è ancora qualcuno che, in modo spontaneo e autentico, tiene viva questa abitudine. È un gesto semplice, ma prezioso: significa custodire un pezzo di identità, mantenere aperta una finestra su un mondo che non c’è più, ma che ha molto da insegnare.
In questo filoss non ci sono smartphone, notifiche o social network: ci sono sguardi diretti, voci che si ascoltano sul serio, silenzi condivisi, risate che non vengono postate ma vissute. Ed è forse proprio questo che lo rende così vero. Un piccolo miracolo di umanità, che merita di essere conosciuto, rispettato e – chissà – magari anche imitato.
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