L'ANALISI
21 Marzo 2023 - 05:25
La guerra è tornata in Europa dopo quasi ottant’anni. La guerra convenzionale, simmetrica, tra due eserciti potenti, armati in maniera simile, capaci di condurre operazioni prolungate ad alta intensità sul campo di battaglia. Ci riguarda tutti e ha una posta in gioco altissima; ma quella iniziata per volontà di Vladimir Putin e della Russia il 24 febbraio 2022 è anche una guerra semplice. Le motivazioni sono chiare, così come gli scopi, gli errori commessi e le ragioni degli sviluppi recenti sul campo di battaglia. È semplice, per prima cosa, la motivazione della Russia per attaccare l’Ucraina: Putin ha pensato di avere l’occasione di rovesciare il governo di Kiev, orientato all’amicizia con l’Occidente, e ha deciso di coglierla usando la forza.
Ma è semplice anche la ragione del fallimento della cosiddetta «operazione speciale», la guerra-lampo che avrebbe dovuto consentire ai russi di insediare un governo amico a Kiev in una decina di giorni: Putin e i suoi generali erano stati male informati sulla solidità del ‘regime’ ucraino, sulla volontà di resistenza della popolazione, e si erano convinti (da soli) che Usa e Nato non fossero in grado di reagire in tempo. È semplice la ragione della tenacia mostrata dagli ucraini nell’opporsi all’invasione: «ogni popolo amante della libertà, alla fine sarà libero» (Simon Bolívar). Ovvero: quando un estraneo entra a casa tua con le armi in pugno, e vuole farla da padrone, tu combatti e combatti fino a cacciarlo, quali che siano i sacrifici necessari.
È semplice, infine, la ragione per cui gli Usa, passati i primi giorni in cui «tutto poteva accadere» (quando Biden offrì a Zelensky la possibilità di essere portato al sicuro, ottenendone una risposta passata alla storia: «ho bisogno di armi, non di un passaggio»), abbiano appoggiato l’Ucraina, ma non troppo: il massimo vantaggio, per loro, è vedere la Russia che si dissangua, perde uomini, armamenti e prestigio, senza rischiare una guerra su vasta scala. Quindi sì agli obici e agli Himars, no ad aerei carri armati e truppe.
Sono persino semplici le ragioni per cui i russi non hanno sfondato le linee ucraine e non hanno ottenuto risultati decisivi sul campo: non hanno mai avuto una sufficiente superiorità numerica, non hanno saputo adattarsi in fretta a una situazione diversa da quella che avevano (ottimisticamente) previsto, e soprattutto il valido sostegno fornito dall’intelligence occidentale alle forze ucraine li ha messi molto spesso in situazione di inferiorità sul campo di battaglia. Queste sono le coordinate essenziali del conflitto. Il resto è propaganda. Non si può credere a Putin quando sostiene che la Russia fosse minacciata militarmente dall’Ucraina, e quindi giustifica l’aggressione come una «difesa preventiva».
Né quando parla della necessità di «intervenire per fermare il genocidio» in atto a danno dei russofoni del Donbass. Siamo di fronte a una guerra iniziata per motivi neo-imperiali, legati alla volontà di riaffermare il dominio russo su una parte del vecchio impero zarista-sovietico ritenuta troppo importante per essere ceduta all’Occidente, anche sotto forma di semplice alleanza economico-politica. Dunque non possiamo avere dubbi, e dobbiamo ripeterlo: ci sono dei punti fermi, delle considerazioni al tempo stesso fondamentali e semplici da cui partire per giungere a una posizione equilibrata, moralmente limpida, su questo conflitto. Primo: ha torto chi ha violato in armi i confini di un Paese sovrano che non costituiva una minaccia alla sua sicurezza, chi ha creduto di poter spezzare la volontà di resistenza del suo popolo con il terrore, chi ha massacrato civili e devastato paesi e città.
Secondo: ha ragione chi difende la propria terra, la propria casa, la propria vita, a prescindere da tutte le considerazioni su ingerenze straniere, sugli interessi dell’Occidente, sulle ferite non rimarginate della storia. È una sorta di livello zero, imprescindibile, da cui partire per acquisire consapevolezza di ciò che sta accadendo da oltre un anno in Ucraina. La guerra continua. Non ci sono, attualmente, le premesse per un accordo di pace: Putin ha annesso illegalmente quattro regioni ucraine, e non può abbandonarle senza dichiarare la propria sconfitta, cosa che farà solo se costretto con la forza militare. Forza che gli ucraini, al momento, non hanno. Non ancora.
Ma la via per la pace passa attraverso la giustizia: il ritiro dei russi dalle zone occupate dopo il 24 febbraio 2022, un tribunale per i crimini di guerra. Solo dopo si potrà discutere come risolvere la questione della Crimea e del Donbass. Si illude chi auspica la resa degli ucraini di fronte al fatto compiuto dell’occupazione russa di una parte del loro Paese. Sarebbe nient’altro che una tregua instabile, avvelenata dal rancore e dalla violenza. Un passo non verso la pace, ma verso la trasformazione del conflitto in una guerra civile feroce, che lascerebbe spazio alle forze peggiori delle due parti in lotta. Speriamo di non dover assistere a questo.
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