SOS ACQUA
16 Maggio 2022 - 15:35
ROMA - Comprensione, dalla Cassazione, per le commesse che nei periodi di massimo shopping perdono la pazienza e sbottano con una 'parolaccia' interloquendo con quei clienti che pretendono attenzioni esagerate, mentre intorno si accalca la ressa natalizia. Licenziarle è troppo, specie se hanno usato un vocabolo «greve» ma entrato ormai nel comune parlare, per richiamarle al dovere di cortesia basta una multa, dicono gli ermellini. Così è salvo il posto di Lisa V. rincorsa fino in Cassazione dal datore di lavoro che voleva licenziarla a tutti i costi. Sotto Natale, con il negozio pieno di gente e confusione nel dicembre 2017, Lisa V. commessa della grande distribuzione di una catena di elettronica di consumo - elettrodomestici e cellulari - ha un’uscita 'colorita' con un cliente petulante che voleva una prestazione del centro servizi. Lisa - sempre stata calma e sorridente, mai un appunto da nessuno - gli si rivolge con una «espressione volgare» in «modo grevemente scortese» e viene licenziata in tronco, per giusta causa nel marzo 2018. Ma per la Cassazione è da escludere che la lavoratrice - che ha usato un termine un po' forte ma «entrato nel comune intercalare» e che vantava anni di irreprensibile servizio - meriti una simile 'punizione' per non aver «usato la dovuta cortesia che un addetto alle vendite deve usare nella relazione con la clientela».
L’episodio boccaccesco, «unico e isolato», "non è grave» sicché «la sanzione disciplinare non può essere quella espulsiva del licenziamento disciplinare senza preavviso», concludono gli 'ermellini' rilevando anche che nessun altro, né tra i clienti né tra i colleghi di Lisa, si era accorto dell’episodio «offensivo». Una multa, come sanzione conservativa del posto, sarebbe stata sufficiente, dicono gli 'ermellinì, dunque Lisa V., non ha perso il lavoro ed è stato respinto il ricorso di Mediamarket che ha insistito fin davanti alla Suprema Corte con la richiesta di licenziamento a seguito delle proteste del cliente «irritato dall’insolenza» e che indispettito «non aveva portato a termine il suo acquisto» di «modesto valore economico».
Per la Cassazione, che ha confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello di Brescia nel 2019 e dal tribunale di primo grado - di una città lombarda non meglio specificata - , la 'parolaccia' sfuggita di bocca non può portare al «licenziamento per giusta causa». Il verdetto è il n. 13774 della Sezione lavoro - presidente Guido Raimondi, relatore Adriano Piergiovanni Patti - ed è stato depositato lo scorso due maggio, dopo l’udienza del due febbraio. La Procura del Palazzaccio era stata invece più sensibile al reclamo del datore e ne aveva chiesto l’accoglimento e un nuovo processo meno 'clemente'. Lisa V. è stata difesa dall’avvocatessa Mara Parpaglioni di Roma. (ANSA)
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