L'ANALISI
28 Gennaio 2020 - 16:30
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In questi casi il rischio è quello di perdersi nella discussione - alla fine un po' sterile - legata al campione: Kobe Bryant è stato il più grande di sempre? Una "tentazione" quasi naturale che però ci porta fuori strada. La domanda vera, credo, sia un'altra: come mai il mondo, tutto il mondo, non solo il mondo dello sport, è sotto shock per la tragica morte dell'ex campione dei Lakers, precipitato con il suo elicottero sulle colline di Los Angeles mentre era in volo con una delle sue quattro figlie e altre sette persone per raggiungere la sua academy di basket?
La risposta a questa domanda è indirettamente una risposta anche alla prima: difficile dire se Kobe Bryant sia stato il più grande cestista di tutti i tempi. Forse sì, forse no. Ma poco importa, non fa alcuna differenza. Certamente era il simbolo più universalmente riconosciuto e riconoscibile di questo meraviglioso sport. In Italia ancora di più, perché Kobe era cresciuto nel nostro Paese, in Calabria, in Toscana e in Emilia Romagna con il padre, giocatore di basket della nostra Serie A. Il mondo è sotto shock perché se n’è andato un simbolo e in Italia l'onda di emozione è straordinariamente grande anche perché sentire Kobe parlare in un italiano praticamente perfetto non poteva non colpire e stupire. Lui, stella dei Lakers di Los Angeles, via dall'Italia da ormai tanti anni, coltivava l'amore per il nostro Paese attraverso la lingua e in Italia tornava spesso. Non solo. Kobe Bryant ha chiamato le sue quattro figlie con nomi italiani: Natalia Diamante, Gianna Maria Onore (morta con lui nello schianto), Bianka Bella e Capri Kobe. Un legame forte con l'Italia, la sua seconda casa.
La differenza fra un campione e un fuoriclasse spesso la fa il carisma che - come tutti sanno - non si allena. O ce l'hai o non ce l'hai. Kobe Bryant aveva un’energia speciale, era naturalmente un leader, un punto di riferimento e di ispirazione. Era quello che nei finali delle partite punto a punto si prendeva il peso e la responsabilità dell'ultimo tiro. Quello decisivo. Quasi sempre segnava e i Lakers festeggiavano un successo, ma quando sbagliava nessuno metteva in dubbio che fosse stato lui a prendersi la responsabilità di quel tiro. Ecco cosa vuol dire carisma.
Oltre a essere stato un campione unico, è stato anche un esempio di etica sportiva e di grande professionalità. Baciato dal talento, lui che sportivamente avrebbe potuto avere vita facile "senza dannarsi l'anima", ha saputo ulteriormente coltivarlo e migliorarsi, andando oltre i suoi limiti attraverso il lavoro duro. Certo, dietro tutto questo c'è l'ambizione, il desiderio e l'ossessione di essere il numero uno. Ma c'è anche la cultura del sacrificio, il rispetto per sé stesso, per gli avversari, per i compagni e per la squadra - i Los Angeles Lakers - di cui è stato simbolo e bandiera per tutta la sua carriera lunga vent'anni.
Non è un caso se Alicia Keys, scompaginando la ferrea liturgia della serata dei Grammy Awards 2020 - proprio dallo Staples Center di Los Angeles, la casa dei Lakers - ha ricordato Kobe Bryant, rockstar del basket, parlando di lui come un "eroe". Una parola che negli Stati Uniti assume spesso il significato di "mito" e "leggenda". La tragedia sulla collina di Calabasas, alle porte di Los Angeles, ha consegnato Kobe Bryant alla Storia.
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